Ivan Theimer
La foresta di obelischi
Giardino di Boboli e Galleria d'Arte moderna di Palazzo Pitti
dal 5 luglio 2008 al 30 settembre 2008
La creazioni di Ivan Theimer offrono al visitatore attento e in particolare al pubblico fiorentino stimoli tali da stordire anche le menti più gelide.
L'uso dei materiali, il disegno, le citazioni dello scultore moravo, creano una tale massa di sinapsi, in particolare a chi ha ben presente la rete della scultura monumentale della città, capaci di indurre una specie di cortocircuito temporale.
Spesso si parla di contestualizzazione delle opere d'arte contemporanee nelle città d'arte: l'opera di Theimer è qualcosa di più sembra, e mi rendo conto dell'azzardo, un seguace della bottega del Giambologna - Tacca, che si presenta a noi esattamente dopo quattrocento anni dalla morte dello scultore “fiammingo”, con la capacità di rinnovare un linguaggio spesso dato per esaurito o stancamente citazionistico (sull'argomento si veda il saggio di Salvatore Settis nel catalogo).
Ecco allora che mi sovviene necessario proporre un elenco topografico che serva da viatico a coloro che avranno la fortuna di vedere la mostra in questi ultimi giorni e/o sfogliare il catalogo (magari soffermandosi sugli schizzi dai carnet di lavoro di Theimer) , per poi immergersi nelle piazze e nei musei cittadini per verificare questo confronto.
Piazza Santa Maria Novella con gli obelischi sorretti dalle tartarughe e la Piazza della SS. Annunziata con le fontane e il monumento equestre di Ferdinando I.
Palazzo Pitti e Boboli, sede della mostra seguendo i puntuali suggerimenti di Mario Lolli Ghetti e di Alessandro Cecchi presenti nel catalogo.
Piazza della Signoria con la scultura in copia e in originale tra Donatello e Giambologna senza dimenticare il Cellini e il Bandinelli, la base del Porcellino alla Loggia del Mercato Nuovo.
Palazzo Vecchio con gli Ercoli di Vincenzo de'Rossi nel Salone dei Cinquecento e il cavallo scorticato della collezione Loeser.
Certamente ancora più numerosi possono essere i paragoni, ma qui fermo parafrasando il titolo del saggio di Cristina Acidini curatrice di questa formidabile mostra “Bentornato Theimer”.